La crisi discografica, quella dei mercati, il Web, la congiuntura: della difficile fase che il music biz sta attraversando da diversi anni si è detto tutto e il contrario di tutto. Analisti, rappresentanti di associazioni di categoria e produttori non si sono mai mostrati timidi nell'esporre quelle che - secondo loro - siano le vere ragioni dell'empasse che sta provando la discografia da ormai qualche stagione, mentre più cauti (salvo rare eccezioni) si sono sempre mostrati gli artisti. Bjork, che dalla sua Islanda la crisi - quella vera - ha avuto l'opportunità di viverla sulla propria pelle, ha le idee molto chiare circa l'evoluzione dell'ambito musical-industriale degli ultimi anni: "Non credo che oggi le cose siano cambiate in meglio o in peggio, rispetto a qualche anno fa", ha sostenuto lei, ancora fresca dalla pubblicazione del nuovo album "Biophilia", "Ho iniziato a cantare a 14 anni, pubblicando dischi per l'allora unica etichetta indipendente islandese, la Gramm, dove la parola chiave era autosufficienza, e la consegna era quella di non farsi mettere sotto contratto con le major perché viste come il male assoluto, quelle che 'avevano ucciso Elvis' e che avrebbero potuto stritolare anche te da un momento all'altro. Semplicemente, credo che per un periodo di tempo discretamente lungo le etichette siano state protagoniste di un'ingiustificata 'bolla' che si è gonfiata sempre più fino ad esplodere: in parole povere, in certi anni le label hanno fatto troppi soldi per il lavoro che svolgevano e oggi sono tornate ad avere un volume d'affari proporzionato al loro operato.
Meglio? Peggio? Non so. L'unica cosa della quale sono certa è che come ci sarà sempre gente che vorrà ascoltare musica, sempre ci sarà gente che vorrà farla, con tutte le implicazioni del caso".