L’avete visto quasi sicuramente, il manifestone pubblicitario (nel riquadro, a sinistra) del MotorShow di Bologna (giunta alla trentaseiesima edizione, la manifestazione dedicata al mondo dei motori si apre il 3 dicembre prossimo per chiudersi l’undici). E se l’avete visto, avrete sorriso compiaciuti: perché il manifesto è una reinterpretazione della celeberrima
copertina di “Abbey Road” dei
Beatles, con quattro piloti in tuta e casco che camminano sulle strisce pedonali di una via cittadina.
Per saperne di più, ho chiacchierato un po’ con Emanuele Cason e Michele Mariani della Armando Testa, l’agenzia pubblicitaria che ha realizzato la campagna e anche la fotografia del manifesto.
Ed ecco quello che ho saputo. Innanzitutto: la brillante idea è nata all’interno dello staff dei creativi dell’agenzia, e il cliente l’ha accettata senza troppe perplessità. Del resto, quell’immagine è tanto iconica, anche al di fuori del mondo degli appassionati di musica, che la si può a ben diritto definire “mitica” (e infatti il claim è “entra nel mito”).
Una volta accettata la proposta, la realizzazione dell’immagine è stata la vera sfida. Prima di tutto: no, non è una rielaborazione in Photoshop della copertina originaria (oltretutto la Apple è gelosissima delle proprie cose e difficilissimamente ne avrebbe concesso l’uso, men che meno la manipolazione). E la via in cui è stata ambientata la fotografia, benché un pochino “riadattata” allo scopo, è una via italiana (lo si capisce dai cartelli di regolamentazione di sosta – che non sia una via di Londra è ovvio anche dal fatto che le auto parcheggiate lungo il senso di marcia lo sono per la marcia sulla corsia di destra del conducente) e precisamente una via di Milano, via Ravizza (dove, curiosamente, fino a poco tempo fa c’è stata una sede della
EMI – ma all’Armando Testa non lo sapevano).
La fotografia è stata scattata all’inizio dell’estate 2011. Inizialmente, la ricostruzione voleva essere ancora più fedele all’originale: noterete infatti che manca un elemento-chiave della copertina “vera” di “Abbey Road”, cioè la VolksWagen maggiolino che per i cultori della leggenda “Paul is dead” è uno degli indizi, con la sua targa “LMW 28 IF”, della morte di
McCartney. Ma la presenza così evidente di un’automobile di una marca particolare non è stata considerata opportuna, considerando che al MotorShow partecipano decine di aziende automobilistiche (a proposito: “quel” Maggiolino, quello della foto del 1969, era di proprietà di un residente di Abbey Road, e fu venduto all’asta nel 1986 per 15.000 sterline: attualmente è esposto al Museo VolksWagen di Wolfsburg, in Germania).
Di più: il colore della tuta del secondo pilota da sinistra era, in origine, più vicino a quello dell’abito indossato da McCartney. La decisione di far diventare rossa la tuta è stata principalmente estetica (oltre che un omaggio al rosso Ferrari). E, in un primo momento, fra le dita del pilota c’era una sigaretta – proprio come fra le dita della mano destra di McCartney sulla copertina di “Abbey Road” c’era una sigaretta, che, curiosamente, è stata cancellata, nel 2002, anche da un poster della copertina realizzato da una ditta americana, in ossequio alle campagne antifumo.
La minuziosità della ricostruzione si è spinta fino al collocare (artificialmente) la sagoma di un’auto nera parcheggiata sulla destra (quella fra la testa di
Ringo e quella di
John) e a far posare vicino all’auto una persona, in piedi sul marciapiede. La persona fotografata sulla copertina di “Abbey Road” - quella vera - era un americano, Paul Cole, che l’8 agosto del 1969 si trovava a Londra in vacanza (identificato nel 2004, è scomparso nel 2008 alla bella età di 96 anni). Non mi sono spinto fino a chiedere il nome del signore fotografato nella ricostruzione del manifesto del Motorshow: ma vi faccio notare che ha nella mano sinistra un sacchetto del supermercato Esselunga. E non è certo un caso se l’agenzia Armando Testa è la stessa che nel 2004 ha realizzato, come primo manifesto di una nuova campagna per la Esselunga, quel “John Lemon” (un limone con occhialini tondi) diventato nel tempo abbastanza iconico anch’esso.
Per rendere pressoché perfetta la ricostruzione, i quattro piloti sono stati fotografati separatamente, nelle stesse pose originarie dei Beatles (e infatti, lo noterete, il pilota “Paul” ha i piedi nudi e non è al passo con gli altri, ha la gamba sinistra avanti, e non la destra) e poi le quattro foto sono state “montate” nelle rispettive posizioni. Cosa che, nel 1969, pre-computer, sarebbe stata decisamente difficile se non ricorrendo a un rischioso scontorno fotografico.
Ecco, vi ho raccontato tutto quello che sono riuscito a sapere. Aggiungo solo un dettaglio: Ian Macmillan, il fotografo che scattò l’immagine della copertina di Abbey Road, lo fece arrampicandosi su una scala a pioli e scattò in tutto sei foto dei Beatles sulle strisce: una di quelle fu scelta e utilizzata. Un quarto d’ora di lavoro in tutto. Non ho chiesto quante ore di lavoro è costata la rielaborazione, ma scommetto che sono state assai di più...
(Articolo tratto dal sito: rockol.it del 30 nov 2011)
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